Polinesia Francese

La Micronesia

Quando si accende il computer e compare il foglio elettronico si ha sempre un momento di esitazione, rafforzato dalla convinzione che difficilmente le parole riusciranno a rendere vive le emozioni che si provano giungendo in un posto indimenticabile come la Micronesia.

La vista dall’aereo ti lascia senza fiato. Sembra di scendere in un mondo perfetto, con il blu del mare spruzzato da un’infinità di scogli interamente ricoperti da una vegetazione lussureggiante, verde smeraldo. Le scie delle imbarcazioni si disegnano con bianchi sbuffi percorrendo rotte precise e invitando il nuovo arrivato, che li guarda dall’alto, a seguirle con gli occhi. E quando finalmente il nuovo ospite si trova a bordo volando su un’acqua turchese che si incunea nella miriade di isolotti, sfrecciando veloce tra le braccia di una natura selvaggia e assolutamente padrona di se stessa, in quel momento esatto il sogno diventa realtà.

Le isole grandi, piccole e i semplici scogli di pietra calcarea, erose dalla forza del mare, aggettano sull’acqua con sbalzi arditi sorretti dalle radici della vegetazione che le ricopre interamente. Questa contende tutti gli spacchi e gli anfratti alla roccia viva, per trovare il sostentamento di cui ha bisogno, fratturando in modo irreparabile quella stessa base che a volte sostiene con il suo intrico. Il verde intenso e impenetrabile delle piante è ornato di una miriade di forme dai colori differenti: le molte specie di uccelli appollaiate sui rami sembrano decorazioni irreali ed è solo quando si staccano compiendo evoluzioni fino a lambire le acque cristalline che se ne riescono ad apprezzare le linee aggraziate. Le lunghe code sfiorano l’acqua che ruggisce quando, spinta dal moto dell’imbarcazione, si infrange sotto gli sbalzi che fanno da cassa armonica.
Spiagge di sabbia bianchissima e sottile orlano a volte questi funghi di pietra verde, dove l’acqua assume una colorazione ancora diversa, sfumando i contorni in un rosa inverosimile. Qui, nei momenti di sosta tra le immersioni, le barche sembrano fluttuare nel nulla, sostenute da una forza ultraterrena, che sottolinea ancor più il lavoro dell’artista più perfetto, la natura, capace di realizzare queste meraviglie e di stupire ed emozionare anche il cuore più duro. E quando la stupidità umana emerge da questi anfratti sotto forma di cannoni arrugginiti, porti abbandonati, relitti arenati, alla stregua di una ferita che sanguina orrore ed emette tristi singulti di un odio che qui sembra ancor più fuori luogo, il contrasto con la bellezza del panorama diventa ancor più stridente. Palau e le Rock Island: questo il nome di un paradiso ancora poco conosciuto, almeno da noi europei, incredibile nella sua unicità, capace di coniugare le forti emozioni che si vivono in immersione a quelle donate in modo assoluto dalla natura circostante. Quando si giunge sul punto prescelto per il tuffo lo sguardo si perde sulla curva dell’orizzonte senza incontrare null’altro che acqua dal colore blu intenso e questa sensazione di infinito si rafforza quando si scende in immersione cullati dal moto regolare e potente dell’onda oceanica.
La trasparenza dell’acqua è tale da consentire una visibilità di 40-50 metri e la gran moltitudine di pesce che si muove al suo interno sottolinea questa sua peculiarità.
Una volta a ridosso del reef ci si rende conto della forza dell’oceano: i primi metri di fondale sono infatti costituiti da una piattaforma rocciosa calcarea erosa e levigata dal moto ondoso, sulla quale i coralli non possono crescere. Subito sotto la vita esplode in tutta la sua energia, con coralli, gorgonie, alcionari ed una grande quantità di pesce.
Le specie sono stanziali ed a colpo sicuro, con una precisione millimetrica, le guide annunciano gli incontri che puntualmente avvengono sotto la superficie: a Blue Corner diecine e diecine di squali grigi di barriera, barracuda e carangidi, a German Channel le mante che raggiungono le stazioni di pulizia incuranti dei subacquei, a Pelelieu tra le pareti interamente tappezzate di giallo ed arancio degli alcionari, le aquile di mare, i grigi, i pinna bianca.
Esattamente come sulle isole la barriera porta in qualche punto le ferite causate dall’uomo, che per i propri biechi scopi non esita a distruggere l’ambiente. Eppure il grande artefice è sempre in grado di prendersi le sue rivincite in modo netto ed i canali, scavati per consentire il passaggio di incrociatori e navi da carico, diventano transito della corrente, fonte di vita che alimenta con la sua forza l’esistenza stessa del mare. I flussi intensi e regolari portano nutrimento all’interno della laguna, che si popola di specie, diventando punti di transito delle grandi, immense mante, che con lenti e maestosi colpi delle possenti ali sfiorano il fondo, a fianco della barca. Questa grande forza di recupero si vede anche sugli innumerevoli relitti affondati che, completamente concrezionati di coralli, sono diventati delle vere e proprie barriere artificiali, rifugio sicuro per Platax, ombrine, cernie.

Nelle pause tra un tuffo e l’altro le candide spiagge accolgono i subacquei per il pranzo, con aree attrezzate, dove gli ospiti possono apprezzare un panorama senza uguali.
All’interno di qualcuno di questi funghi calcarei che sono le Rock Island ci sono dei laghi salati, che traggono nutrimento da invisibili passaggi di acqua marina, popolati da specie che hanno modificato caratteristiche e abitudini di vita per adattarsi a questo nuovo ambiente. Tra questi il Jelly fish lake, dove è possibile fare un tuffo muniti di sole maschere e pinne e vivere una delle esperienze più strane che possa capitare ad un subacqueo: nuotare tra migliaia se non addirittura a milioni di meduse, che popolano le queste acque interne. Barriera pulsante di vita, questa moltitudine ostacola continuamente la visione e l’ospite si trova completamente avvolto da questi ombrelli di tutte le dimensioni che ondeggiano costantemente in un eterno valzer. L’assenza di nemici naturali ha reso questa specie del tutto priva della capacità urticante e quindi nuotare tra le volute delle migliaia a migliaia di tentacoli che si muovono nel suo invaso è un’esperienza che lascia il segno solo nell’animo e non nel corpo.

Ma la Micronesia non è solo Palau, se pur unica con i suoi panorami mozzafiato (subacquei e non), ma anche uno dei posti più famosi al mondo per assistere all’incanto di una danza nuziale che non ha uguali, quella della grandi mante. Yap, l’isola che ospita nelle sue acque questi enormi ed innocui mastodonti del mare, è famosa in tutto il modo per la frequenza degli incontri, garantiti pressoché in tutti i mesi dell’anno. Lo spettacolo è affascinante, forte ed aggraziato: con un’ eleganza senza pari sfilano in formazione perfetta davanti agli occhi attoniti dei subacquei, per poi compiere evoluzioni splendidamente coordinate alla stregua dei piloti delle pattuglie acrobatiche aeree. Sempre in movimento, dopo aver effettuato i giochi di assetto si ricompongono nella formazione e nello stesso ordine iniziale, secondo precedenze gerarchiche complesse, per poi scomparire nel blu da dove sono arrivate. La ricchezza di questo mare traspare ad ogni immersione e prede e predatori si alternano nei successi e nelle sconfitte che garantiscono la discendenza delle specie: così si può assistere a visite improvvise degli squali argentei, che creano scompiglio nella vita di barriera come a formazioni di carangidi che si aprono al passaggio di un grigio per poi avvolgerlo e spingerlo lontano con ripetuti, simulati attacchi effettuati in formazione perfetta. E a noi subacquei non resta che guardare, con la certezza che le emozioni provate ci accompagneranno per tutta la vita, intime e personalissime… almeno fino a che non riusciremo a colmare quella esitazione che ci prende davanti al foglio bianco ed a raccontarle nel modo giusto, per riuscire a condividerle con quel popolo anfibio che torna, timidamente, al mare dal quale proviene.

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Ultima modifica il 19 Agosto 2015

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